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Il ¨bene comune¨

Articolo scritto il 18 Luglio 2017 nella sezione " … Cogito "


Non si fa che parlare d’altro. Tutti ad invocarlo dal prossimo, il bene comune. A pretenderlo dagli altri, tutti a rinfacciarsi vicendevolmente - e a muso duro - la mancata volontà di voler perseguire cotanta finalità perché nei propri intendimenti ci sarebbe solo il proposito famelico di appropriarsi di ciò che serve per sé. Il bene comune è un VALORE, va cercato a prescindere dalle proprie convinzioni politiche: è una categoria né di sinistra, né di destra, né di centro. Dovrebbe diventare l’undicesimo Comandamento: non è un optional, va tradotto e sviluppato all’interno di ogni aspetto della vita sociale, quello politico in primis. E’ un denominatore comune.
Sicuramente si sarà annidato, da qualche parte, un virus che rende luride, con una puntualità sospetta, le buone intenzioni di cui dovrebbe essere lastricato il cammino di chi si erge a divenire rappresentante del popolo sovrano. Un agente patogeno che le svuota, le buone intenzioni, fino al punto di farle diventare sterili nominalismi o, peggio ancora, argomento di elucubrazioni da salotto per inguaribili ingenui. Sarà una jattura, ma - regolarmente - quella tensione che, agli inizi, diceva di alimentare la ricerca del bene comune, alla prova dei fatti, si rivela sempre un bluff, una presa per il culo che fa segnare l’ennesimo obiettivo mancato.

A chi, in questa trascorsa campagna elettorale, ha avuto orecchie per sentire e cuore per intendere non è sfuggito che il ritornello alla base dell’aspro contendere è stato: io/noi siamo più credibili ed abilitati di te a parlare di “bene comune”; io/noi, questa missione, ce l’abbiamo nel mio/nostro DNA più di te/voi; i miei/nostri ideali sono più alti, veri e belli dei tuoi/vostri e, perciò, sono/siamo i soli a poter parlare credibilmente di “bene comune”. Insomma, l’unica preoccupazione è stata quella di dimostrare che la propria coscienza (sic!) fosse più adamantina, integra ed irreprensibile di quella dell’altra parte, quindi più abilitata alla vittoria finale. Tutti si sono presentati come un frutto immacolato, come marziani. Nessuno si è lasciato sfuggire la irripetibile opportunità di evocare la propria diversità morale, usandola per schermare ogni mancanza e responsabilità. Cosa è successo? Che anziché parlare di politica … la tiratera delle promesse da marinaio, altrimenti detta “campagna elettorale”, la si è subordinata a logiche e a chiacchiere che avevano tutte un aspetto etico cui richiamarsi. Un film già visto! Ed allora, via ad un rincorrersi, a volte grottesco, di sogni e belle intenzioni il cui collante è stato quello di scaricare sul Sindaco uscente ogni responsabilità per gli errori commessi nei decenni precedenti. A nessuno è parso importante capire come andavano ripartiti gli errori e le imprudenze, cosa ben diversa che metterle tutte in groppa ad un capro espiatorio, ammesso pure che questo porti responsabilità -ma non sono tutte le sue- molto maggiori di chiunque altro. La cosa che ha infervorato, chi più chi meno, è stata quella di cercare di mondare la propria coscienza attraverso la pratica di un discutibile disprezzo (neppure tanto celato) per quella incarnazione del Male che democraticamente è stata votata in massa ed investita della carica di Sindaco con percentuali di voto “bulgare”, come mai era successo in precedenza, senza che si sia ricorso mai ad alcun ballottaggio. Tutti uniti nella sua condanna, un capro espiatorio epocale che ha consentito ad elettori, intellettuali e politici sedicenti tali di purificarsi da ogni colpa a buon mercato, di respingere qualsiasi addebito, semplicemente vomitandogli addosso infamie spesso anche improbabili ed improponibili.

E … il bene comune? Chi di voi sa dirmi quale perverso bene comune sia stato perseguito da quegli idioti che siedono in Parlamento, latori di una legge elettorale che rende impossibile la gestione anche di un condominio? In nome di quale coerenza “democratica” può una minoranza, che in ambito consiliare tale resta, pretendere di governare contro una maggioranza, che nello stesso ambito, tale resta? Una minoranza che si atteggia a maggioranza senza esserlo ed una maggioranza che si rassegni ad essere minoranza … senza esserlo! Questo, in nome del bene comune? Quanto può reggere questo pirandelliano giuoco delle parti? Ci guadagna o ci rimette quel “bene comune” strattonato da tutti i palchi da chicchessia? Chi si gira dall’altra parte, invocando comportamenti responsabili in nome del bene comune è in malafede … forse si sta parlando di altro sotto mentite spoglie, ossia del desiderio di essere disposti a tutto pur di restare nella “stanza dei bottoni”.
Correttezza e coerenza impongono le dimissioni. Subito. E’ un gesto che, di sicuro, non trascende chi lo compie, serve a fare ulteriore luce intorno a sé e potenzialmente è contagioso. Alla sua radice, infatti, vi è qualcosa di vivo ed indistruttibile: il desiderio di fare bene e la necessità di contare su di un ambito in grado di permetterne la realizzazione. Una scelta, quella delle dimissioni, umanamente spiacevole ed immeritata, considerati gli immani sforzi profusi per conseguire una vittoria che ancora ha dell’incredibile. Concordo!
Ma si va a casa in nome del “bene comune” … mica per niente!

Felice Pironti




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